13 dicembre 2007

L'Ascesa

Il fumo s’era addensato sopra Chicago come un nugolo di corvi in attesa del prossimo banchetto.
Il vento che soffiava da nord faticava a spazzare via la foschia che s’era alzata dal massacrante incendio e che continuava a fuoriuscire dalla città come sangue da una belva ferita.
Il fuoco non era ancora stato spento.
Il calore estremo faceva crepitare le travi di legno antico all’interno della Fondazione, mentre la struttura collassava su se stessa, consumata dal prodotto di tanta malvagità covata per decenni, forse per un secolo. Il fuoco che percorreva quelle antiche camere, divorando arazzi, mobilia antica, documenti e persone con identica facilità, pareva animato da una volontà propria e da una precisa ricerca di distruzione.
Due vigili del fuoco erano già morti, lasciando famiglie in lutto e figli orfani; un terzo non avrebbe passato la notte.
La signora Bartlet consumava la sua agonia in camera da letto, avvolta da un fumo tossico che le stava strappando via gli ultimi istanti di vita.
Doris Gravy aveva perso il suo bambino per lo spavento e giaceva per strada, in una pozza di sangue profonda due dita, tremante e terrorizzata: se l’avessero informata che il trauma l’avrebbe resa sterile forse si sarebbe tolta la vita all’istante.
Mentre il fumo ricopriva il quartiere e gli negava la luce del sole, altrettanto stava accadendo alla vita stessa dei suoi abitanti: man mano che l’oscurità s’infittiva, la forza vitale della gente, di quei buoni cittadini americani, innamorati del loro presidente, del Sogno Americano, felici di pagare le tasse per mandare i loro figli a morire in nome del petrolio, veniva drenata come accade all’acqua quando si ripulisce un terreno.
Un’enorme idrovora stava operando l’atroce risucchio su un quartiere intero della seconda città più grande degli Stati Uniti d’America e nessuno, sull’intero globo, se ne sarebbe accorto ancora per diverse ore.
Tutti erano presi dall’incendio, dal fumo e dalle sirene d’emergenza.
Tutti coloro che non avevano alzato abbastanza lo sguardo, perlomeno: i fortunati che avevano osato tanto, ora, tremavano di terrore al ricordo di quanto i loro occhi mortali avevano intravvisto tra quelle fetide esalazioni di un male cristallizzato.

L’Angelo della Luce Sottratta, il Principe delle Tempeste, il Signore delle Tenebre e Colui che Porta Ostilità.
Colui-il-Cui-Nome-È-Perso-nelle-Tenebre.
Le sue ali membranose, coperte di piume grigie e nere, cavalcavano il fumo dell’incendio, risplendendo delle fiamme infernali evocate sulla terra dal suo passaggio. Bagliori rossi striavano la polvere sollevata dal fuoco e segnavano il profilo della creatura che si stava alzando nel cielo primaverile di Chicago.
L’Ombra stessa si scansava al transito dell’Immondo Portatore, aprendosi, fendendosi e piegandosi pur di non essere sfiorata dalla volontà di pura malvagità di un essere che proveniva da un’era mai conosciuta. Gli stessi spiriti anziani, coloro che assistevano immobili al trascorrere delle ere, placidi come il Michigan e immobili come i laghi, tremarono per un istante, quando l’immagine ancestrale della Caduta degli Immortali s’infranse in loro, scagliando aguzzi cocci che distrussero una buona metà degli spiriti-sapienza del circondario.
Auriun, il Trascrittore, fu il primo a perire, nel suo nido al centro della Biblioteca Nazionale e il tremore che invase l’ombra al passaggio della notizia raggiunge in pochi istanti ogni recesso del globo.
Belial, l’Oscurità Malevola, tornava, al di là di ogni suo piano e di ogni scelta dei suoi seguaci.
In tutti i mondi, in quell’istante, coloro che attendevano nel buio si destarono e soffiarono sulle candele che avevano innanzi: non ci sarebbe più stata luce sulla Terra, promisero, all’unisono.
Per sempre.

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